“Oltre al danno subito dalle piccole e medie imprese, tagliate fuori dalla Zes Unica a causa dell’investimento minimo di 200 mila euro richiesto per beneficiare delle agevolazioni, anche le altre aziende sono state beffate. Il credito d’imposta concedibile in Sicilia nella misura massima del 60% dell’investimento è infatti sceso al 10,60%. Un flop annunciato che deprimerà fortemente gli investimenti nell’Isola ed in tutto il Mezzogiorno”. Lo dicono Piero Giglione e Nello Battiato, rispettivamente segretario e presidente della Cna Sicilia, commentando la recente circolare dell’Agenzia delle Entrate che ha certificato il valore dell’agevolazione. A fronte della disponibilità finanziaria messa in campo, pari a 1,8 miliardi di euro, le istanze da parte del mondo imprenditoriale hanno raggiunto un fabbisogno di ben 9 miliardi.
“Il dato – spiegano – dimostra ancora una volta la grande propensione agli investimenti delle imprese del Mezzogiorno, a cui non viene però tesa la mano. Oggi l’esito di questa azione di incentivo alle imprese indurrà le aziende a rinunciare agli investimenti senza avere, di contro, alcuna soluzione per supportare i propri investimenti”.
“Va al più presto aumentata la dotazione finanziaria della misura – aggiungono – e condiviso un nuovo approccio considerando il fatto che questa agevolazione ha escluso gli interventi delle micro e piccole imprese. È tempo dunque di riflettere attentamente su come valorizzare le risorse pubbliche attraverso un coinvolgimento delle Regioni e dei territori e limitando altre criticità come l’ingorgo autorizzativo di una struttura centralizzata a Roma che dovrebbe facilitare la semplificazione per le istanze delle tante imprese del Mezzogiorno e che, temiamo, produca invece effetti esattamente contrari in termini di allungamento dei tempi per il rilascio delle autorizzazioni specialmente per le pmi”.
“Sin da subito – continuano – avevamo espresso forti perplessità sull’adozione dello strumento del credito d’imposta della Zes Unica in virtù della contestuale abolizione del credito d’imposta per il Mezzogiorno che aveva, fino all’anno scorso, garantito investimenti costanti e virtuosi da parte delle pmi del Sud Italia. Perplessità che si sono aggiunte alla bassa dotazione finanziaria di uno strumento che doveva dare risposte agli investimenti di ben 8 regioni, dove risiedono quasi 20 milioni di italiani e dove operano oltre 2 milioni di imprese”.
“La precedente composizione delle Zone economiche speciali prevedeva, infatti, la perimetrazione di aree ridotte e inserite all’interno di aree industriali e artigianali – concludono – con una coerenza logistica ai principali porti commerciali. La scelta dunque di allargare all’intero perimetro del Mezzogiorno (e dunque oltre 73.000 km quadrati) imponeva la necessità di aumentare sensibilmente la dotazione. La stessa, pur interessante, misura della cosiddetta Transizione 5.0 ha presupposti diversi e caratteristiche non compatibili con le esigenze delle tante pmi del Mezzogiorno. Un aspetto che impone una riflessione profonda sulle modalità di sostegno virtuoso agli investimenti e che deve necessariamente favorire un confronto serio e proficuo con le rappresentanze datoriali”.