Ultima Cena all’Expo 2015, Janni e Campione: “Ma quale varo della Vara?”

CALTANISSETTA – Di seguito riportiamo un intervento del presidente d’Italia Nostra Leandro Janni e dell’architetto Pierluigi Campione sulla vicenda della Vara dell’Ultima Cena all’Expo 2015.

“Caltanissetta, ultimi giorni di giugno 2015. Il varo della Vara non ci sarà. La Vara è il ben noto gruppo sacro dell’Ultima Cena, opera di Vincenzo e Francesco Biancardi, plastica e popolare rilettura scultorea del superbo Cenacolo Vinciano. Essa appartiene al ceto dei panettieri nisseni. Le opere dei Biancardi hanno comunque origine dalla tradizione napoletana dei presepi della seconda metà del 1800 ed è tipica dei modellatori delle statuine presepiali del 1700, realizzate con materiali vari.

La Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Caltanissetta non ha mai ricevuto alcuna richiesta, né per il necessario restauro conservativo dell’opera, né per il suo eventuale trasferimento all’Expo Milano 2015. Niente restauro, niente trasferimento, niente Expo, dunque. Il tempo è praticamente scaduto. Tutto questo, malgrado gli entusiastici proclami politici, malgrado le estenuanti riunioni, malgrado le memorabili conferenze stampa, malgrado i molteplici articoli giornalistici, malgrado gli spettacolari servizi televisivi, le sontuose chiacchiere e quant’altro. Che dire? Una storia che pare scritta da Vitaliano Brancati. Una storia in salsa acida. Acidissima. Ipotesi progettuale maldestra e provinciale che si perde, inesorabilmente, nell’indefinito numero delle umane velleità.

Ma in fondo non tutti i mali vengono per nuocere. Tranne casi particolari, noi di Italia Nostra (da Cesare Brandi a Salvatore Settis) siamo contrari all’esportazione di beni storico-culturali e artistici mobili. Il prof. Settis parla di “catena e collezione”, di “continuità e contiguità” dei beni culturali. Egli afferma: «La forza del “modello Italia” è tutta nella presenza diffusa, capillare e viva di un patrimonio solo in piccola parte conservato nei musei, e che incontriamo invece, anche senza volerlo e anche senza pensarci, nelle strade delle nostre città, nei palazzi in cui hanno sede abitazioni, scuole e uffici, nelle chiese aperte al culto. Modello che fa tutt’uno con la nostra lingua, la nostra musica e letteratura, la nostra cultura. Perdere questa identità sarebbe rinunciare a una parte importante, anzi costitutiva, di noi stessi, di quello che gli italiani sono, per esserlo diventati nel corso dei secoli. Il nostro patrimonio culturale non è un’entità estranea, calata da fuori, ma qualcosa che abbiamo creato nel tempo e con cui abbiamo convissuto per generazioni e generazioni, per secoli e secoli. Non un gruzzolo nel salvadanaio, da spendere se occorre, ma la nostra memoria, la nostra anima. Ed è proprio questo tessuto connettivo che rende il patrimonio italiano nel suo complesso inestimabile anche sul fronte dell’immagine e della valorizzazione del Paese. Il nostro bene culturale più prezioso è il contesto, il continuum” fra i monumenti, le città, i cittadini; e del contesto fanno parte integrante non solo musei e monumenti, ma anche la cultura della conservazione che li ha fatti arrivare fino a noi.»

Ma ritorniamo all’Ultima Cena dei Biancardi. Essa fa parte di un organico insieme di elementi (sedici gruppi sacri che rappresentano scene della Passione di Cristo) ed è espressione di un contesto umano e sociale che mantiene viva un’antica tradizione. Da sola, isolata essa rappresenta, esprime molto meno di quanto possa esprimere, rappresentare insieme agli altri gruppi sacri. Inoltre, essendo un bene preminentemente etnoantropologico, la sua piena valorizzazione avviene all’interno del contesto sociale, culturale e religioso della Settimana Santa nissena. Pertanto, potrebbe persino risultare fuorviante la sua decontestualizzata esposizione all’Expo. Dannoso ed esoso, certamente, il suo trasporto. Insomma: la nostra Ultima Cena, all’Expo Milano 2015, apparirebbe come un’opera surreale, mediocre. Internazionalmente incomprensibile. E infine, a quanto pare, all’interno dei padiglioni riservati alla Sicilia, non ci sarebbe neppure lo spazio necessario per la sua esposizione. Cos’altro aggiungere, se non evidenziare che dalle parole del prof. Settis si evince l’idea di “museo diffuso” o “ecomuseo” che, auspicabilmente, dovremmo iniziare a prendere in seria considerazione anche dalle nostre parti. A Caltanissetta”.

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