Nell’inchiesta della Guardia di Finanza sono oltre 100 le società coinvolte, create ad hoc per ottenere bonus locazioni, miglioramenti sismici ed energetici e i cosiddetti bonus facciate.
Maxi frode da 440 milioni di euro di falsi crediti locazioni, sismabonus e bonus facciate, introdotti tra le misure di sostegno emanate dal Governo con il Decreto rilancio durante la fase più acuta dell’emergenza Covid per aiutare le imprese e i commercianti in difficoltà.
A scoprirla i finanzieri del Comando provinciale di Rimini – coordinati dalla locale Procura – con il supporto di 44 Reparti territorialmente competenti, nonché della componente aerea del Corpo, del supporto tecnico dello Scico e del Nucleo speciale Frodi tecnologiche: l’operazione, oltre che l’Emilia Romagna, riguarda anche Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino e Veneto.
Sono 78 le persone indagate nell’operazione “Free Credit”. Eseguite 35 misure cautelari, di cui 8 in carcere e 4 ai domiciliari: 23 le interdittive, di cui 20 all’esercizio di impresa, nei confronti di altrettanti imprenditori e 3 all’esercizio della professione nei confronti di altrettanti commercialisti, in quanto ritenuti componenti di un sodalizio criminale con base a Rimini ma ramificato in tutto il territorio nazionale.
Inoltre, sono state effettuate 80 perquisizioni, oltre al sequestro dei falsi crediti, di beni e assetti societari per il reato di indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato.
Tra loro, in 9 avevano presentato domanda di reddito di cittadinanza e 3 avevano precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso.
L’associazione a delinquere, che secondo l’ipotesi investigativa è composta da 56 soggetti che si sono avvalsi di 22 prestanome, ha un nucleo centrale di 12 persone, sottoposte a misure cautelari, tra imprenditori e commercialisti.
L’indagine trae origine da un attento esame della documentazione relativa a una presunta “cessione di crediti d’imposta”, effettuata da una società coinvolta in altro procedimento penale per reati fallimentari.
L’analisi sull’origine dei crediti – effettuata tramite l’utilizzo delle banche dati operative incrociata con le indagini sul campo e la valorizzazione delle segnalazioni per operazioni sospette – ha consentito di appurare che erano inesistenti per carenza di requisiti. Da lì è nato, evidenziano ancora le Fiamme gialle, il nuovo filone investigativo che fin dallo scorso mese di giugno ha consentito “il monitoraggio dell’organizzazione criminale, dedicata alla creazione e commercializzazione di falsi crediti di imposta, successivamente monetizzati cedendoli a ignari acquirenti estranei alla truffa, portati in compensazione con conseguente danno finale alle casse dello Stato”. Tramite professionisti compiacenti, il sodalizio avrebbe reperito società attive in grave difficoltà economica o ormai decotte, utili alla creazione degli indebiti crediti d’imposta; sostituito il rappresentante di diritto di tali società con un prestanome, da cui ottenere le credenziali per poter inserire le comunicazioni di cessioni crediti nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate, così da avere uno schermo in caso di futuri accertamenti.
Venivano inserite le comunicazioni dichiarando di aver pagato canoni di locazione superiori agli effettivi (persino oltre il 260.000%) o effettuato lavori edili mai iniziati, così da generare crediti di imposta non spettanti; ceduti i crediti d’imposta a società compiacenti e dopo il secondo passaggio a società terze inconsapevoli, così da rendere più difficile la ricostruzione.
Neppure le recenti modifiche normative introdotte dal cosiddetto decreto antifrode hanno scoraggiato i componenti dell’organizzazione.
Il profitto dei reati è stato investito in attività sia commerciali che immobiliari (subentro nella gestione di ristoranti, acquisto di immobili e/o quote di partecipazioni societarie); veicolato, attraverso una fatturazione di comodo, verso alcune società partenopee per essere monetizzate in contanti; trasferito su carte di credito ricaricabili business, con plafond anche di 50.000 euro e prelevato in contanti presso vari bancomat; impiegato per finanziarie società a Cipro, Malta, Madeira; convertito in cripto valute; investito in metalli preziosi e in particolare nell’acquisto di lingotti d’oro. (qds.it)