AGRIGENTO – Conferenza stampa in Procura ad Agrigento dell’operazione “Ponos” (divinità greca depositaria dello spirito del lavoro duro e della fatica) che oggi ha portato al fermo di otto persone che sfruttavano decine di lavoratori con azioni di caporalato: Veronica Cicokova e la madre residenti a Campobello di Licata; il palmese Rosario Ninfosì, Emiliano Lombardino di Porto Empedocle; Rosario Vasile di Campobello di Licata, Giovanni Gurreri di Agrigento e Nicola Stan residente a Campobello.
Le investigazioni, svolte con numerosissimi servizi di pedinamento e con un complesso sistema di intercettazione e di riprese video, hanno svelato l’esistenza di una complessa organizzazione che sfruttava senza scrupoli manodopera extracomunitaria per lavori agricoli di vario tipo su tutto il territorio agrigentino e anche oltre. Un fenomeno di caporalato, insomma articolato e con una solida struttura verticistica, che vedeva, come capi promotori cd organizzatori, due donne di origine slovacca, madre e figlia. In qualità di complici nella gestione delle attività, sono stati anche arrestati due romeni e quattro italiani.
Tutto cominciava con l’ingresso dei lavoratori, nella maggior parte dei casi ucraini e moldavi, all’interno delle frontiere europee, Le due donne e gli altri membri dell’organizzazione, facendo ottenere ai futuri braccianti visti turistici che consentissero l’ingresso negli Stati ai confini orientali dell’Unione Europea, facevano transitare la forza lavoro dalla Polonia e approfittando della libera circolazione prevista dal Trattato di Schengen, aggiravano i limiti del c.d. decreto flussi, organizzando i l viaggio verso l ‘Italia attraverso autobus vecchi ed angusti .
Una volta arrivati nell’agrigentino, i circa l 00 braccianti ucraini sono stati “ospitati”, pagando un affitto da 100 euro a posto letto al mese presso diverse abitazioni messe a disposizione dai membri dell’organizza zione (in abitazioni anche con 5 ospiti), divenendo pronti per essere sfruttati nei campi. Le due promotrici e gli altri intermediari contrattavano a questo punto le prestazioni con i proprietari dei fondi e delle aziende agricole e, una volta raggiunto l’accordo , gli operai venivano trasportati , in condizioni di estremo disagio, su una vera e propria flotta di minivan e furgoni condotti dagli stessi caporali. Le indagini hanno accertato che in alcuni casi sono state caricate anche 40 persone su un unico furgone. I Carabinieri hanno inoltre accertato che ogni lavoratore “costava” circa 42 euro al giorno, ma riceveva una paga corrispondente a meno di 3 euro all’ora, molto al di sotto del limite minimo retributivo previsto dal contratto provinciale del lavoro.
Nei campi, le condizioni di lavoro erano strazianti: braccianti costretti a stare in piedi per ore, a sgrappolare l’uva o a raccogliere le pesche, senza poter fare pause o riposarsi, non potendosi sedere nemmeno su una cassetta di frutta. Non avevano a disposizione alcun dispositivo di protezione ed erano esposti al forte caldo e ali ‘umidità delle serre e alla pioggia battente senza poter trovare riparo, lavorando fra le l10 e le 12 ore al giorno, 7 giorni su 7, festivi compresi, costantemente intimoriti e controllati dai caporali.
II giro d’affari, in termini di guadagno dell’organizzazione e di risparmi illecitamente ottenuti dai committenti in relazione ai mancati versamenti previdenziali ed altro, è stato stimato in circa un milione di euro a stagione.
Tutti gli indagati dovranno ora rispondere, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla illecita intermediazione ed allo sfruttamento del lavoro, nonché di violazione delle disposizioni contro l’immigrazione clandestina.