NISCEMI (CL) – Tristi e tragiche storie note e meno note di deportati nei campi di concentramento nazisti, molti dei quali sopravvissuti miracolosamente al morbo dell’odio, agli orrori più crudeli e che hanno vissuto per tutta la vita con ferite profonde nell’anima, mai guarite.
Come la commovente storia fino a ieri sconosciuta sofferta dal fante niscemese Salvatore Di Dio Cafiso, morto il 15 ottobre del 1990 all’età di 76 anni, nei confronti del quale la presidenza del Consiglio dei Ministri, il 27 gennaio scorso, in occasione della ricorrenza della Giornata internazionale della Memoria dedicata alle vittime dell’Olocausto, ha consegnato ai figli Vincenzo, Francesco e Concetta, tramite la prefettura di Caltanissetta, una Medaglia d’onore.
Accadde che Salvatore Di Dio Cafiso dopo l’armistizio, fu fatto prigioniero dalle milizie nazifasciste a Verona insieme ad altri compagni d’armi allo sbando, i quali si rifiutarono di unirsi alle milizie per combattere contro le forze alleate.
“Io sono un fante” disse Salvatore Di Dio Cafiso,”e mai tradirò il mio giuramento di fedeltà allo Stato italiano ed al Re”.
Rifiuto per il quale venne picchiato ed ancora sanguinante, ammassato nel vagone di un treno e condotto in Germania nel campo di sterminio di Dachau, dove lo obbligarono ad indossare un pigiama a strisce, gli rasarono i capelli a croce, facendolo alloggiare insieme ad altri deportati all’interno di un capannone dotato di letti a castello.
Maltrattati e picchiati duramente perché considerati traditori, Salvatore Di Dio Cafiso ed i suoi commilitoni, capirono che in quel campo di sterminio, sarebbero morti, poiché nutriti con cento grammi di pane ed un mestolo di brodaglia al giorno, costretti ad osservare al centro del campo deportati impiccati, a lavorare al freddo, senza la possibilità di alzare la testa e di sentirsi male, per non rischiare di essere presi a frustate e uccisi.
Il fante niscemese, riuscì a sopravvivere nutrendosi anche di bucce di patate che trovava in una vicina discarica di rifiuti dove era solito recarsi giornalmente, strisciando a terra ed eludendo la sorveglianza.
Bucce di patate delle quali, tolte le parti ammuffite, Salvatore Di Dio Cafiso si cibava e che divideva nel capannone con altri commilitoni ammalati, i quali non avevano più la forza di muoversi.
Un giorno il militare niscemese deportato, fu scoperto da una sentinella tedesca mentre raccoglieva bucce di patate nella discarica che gli puntò il fucile in testa per sparargli, quando una suora, si buttò improvvisamente addosso alla sentinella implorandogli di non ucciderlo, salvandogli così la vita.
Arrivato sul posto un altro graduato tedesco, ordinò alla sentinella di allontanarsi ed al fante niscemese di alzarsi, riportandolo a calci nuovamente nel capannone.
Soprusi, violenze ed angherie di cui anche dopo la sua liberazione dal campo di sterminio nazista di Dachau da parte degli anglo-americani, Salvatore Di Dio Cafiso rimase profondamente segnato.
L’uomo infatti, tornò dal campo di sterminio tedesco a Niscemi quasi irriconoscibile, fortemente sottopeso ed ammalato, al punto tale che la madre, fu costretta a vendere un podere di famiglia pur di comprare le medicine necessarie per la sua guarigione.
Un giorno, vedendo in Tv un filmato di donne e bambini deportati nei campi di sterminio nazisti, proprio perché profondamente segnato dalla deportazione, Salvatore Di Dio Cafiso gridò “Dachau”, scoppiò in lacrime ed andò a chiudersi nella sua stanza.
Ieri mattina, il sindaco Francesco La Rosa, ha consegnato ai figli ed ai familiari del fante niscemese deportato nel campo di sterminio nazista di Dachau un’onorificenza con la seguente motivazione:”a Salvatore Di Dio Cafiso deportato nei lager nazisti e destinato al lavoro coatto per l’economia di guerra”.
Il sindaco Francesco La Rosa ha aggiunto:” vi dico grazie per quello che avete sopportato nel tempo, per l’alto contributo che ha dato il vostro caro congiunto come fante fedele e vivendo sulla propria pelle l’orrore del campo di sterminio nazista.
Valori da tramandare ai figli che costituiscono soprattutto un esempio del senso di attaccamento, di amore e di fedeltà alla Patria”.