Conosciamo tutti il progetto di rigenerazione urbana – del Comune di Caltanissetta – “Aperta-mente. Saracinesche da leggere”. Progetto ideato e realizzato, magistralmente, da Carlo Sillitti con la collaborazione di amici artisti e di giovani studenti dell’Istituto “A. Manzoni – F. Juvara”. Progetto raccontato da un bel cortometraggio di Luca Iannì, premiato di recente al Cuneo Film Festival. Insomma: brani di letteratura di autori siciliani imprevedibilmente rappresentati, dipinti sulle saracinesche di negozi chiusi da anni, lungo le vie principali del centro storico cittadino. Pagine di letteratura finalizzate a “rigenerare”, se non i tessuti urbani, quantomeno le menti e i cuori di chi ancora lì abita e vive. Ma anche di chi attraversa fugacemente quelle strade. Quegli slarghi.
In questi giorni tragici, dolorosi e di lutto, eppure pieni di luce, ci colpiscono le porte serrate, le luci spente di altri due negozi lungo la via Libertà: quelli legati all’attività imprenditoriale e commerciale del compianto Totò Vancheri, la cui vita è stata stroncata dal maledetto virus. Tanto è stato detto e scritto su Totò Vancheri, in questi giorni. Eppure, ricorrendo alle parole di Gesualdo Bufalino – specificatamente tre brevi frammenti da “La luce e il lutto” –, ritengo di potere e forse dovere aggiungere qualcosa. Parole che, ovviamente, dedico al caro amico scomparso.
«Soffre, la Sicilia, di un eccesso d’identità, né so se sia un bene o sia un male. Certo per chi ci è nato dura poco l’allegria di sentirsi seduto sull’ombelico del mondo, subentra presto la sofferenza di non sapere districare fra mille curve e intrecci di sangue il filo del proprio destino. Capire la Sicilia significa dunque per un siciliano capire se stesso, assolversi o condannarsi. Ma significa, insieme, definire il dissidio fondamentale che ci travaglia, l’oscillazione fra claustrofobia e claustrofilia, fra odio e amor di clausura, secondo che ci tenti l’espatrio o ci lusinghi l’intimità di una tana, la seduzione di vivere la vita con un vizio solitario. L’insularità, voglio dire, non è una segregazione solo geografica, ma se ne porta dietro altre: della provincia, della famiglia, della stanza, del proprio cuore. Da qui il nostro orgoglio, la diffidenza, il pudore; e il senso di essere diversi.»
«Ogni siciliano è, di fatti, una irripetibile ambiguità psicologica e morale. Così come l’Isola tutta è una mischia di lutto e di luce. Dove è più nero il lutto, ivi è più flagrante la luce, e fa sembrare incredibile, inaccettabile la morte. Altrove la morte può forse giustificarsi come l’esito naturale d’ogni processo biologico; qui appare come uno scandalo, un’invidia degli dei.»
«È da questa dimensione teatrale del vivere che ci deriva, altresì, la suscettibilità ai fischi, agli applausi, all’opinione degli altri (il terribile ” uocchiu d’e gghenti”, l’occhio della gente); e la vergogna dell’onore perduto; e la vergogna di ammalarsi…»
Ecco: queste le parole, tra le tante, di questo prezioso testo di Bufalino. Sono certo, comunque, che il buon Totò Vancheri mi farà arrivare, in un modo o nell’altro, un suo chiaro, perentorio commento: «Sei il solito, insopportabile radical chic!»
Leandro Janni