Il sottosegretario di Stato Giancarlo Cancelleri, il sindaco di Caltanissetta Roberto Gambino e l’assessora alla Cultura Marcella Natale – con la benedizione della Curia Vescovile e della Soprintendenza ai Beni Culturali – ribaltano un celebre e fortunato slogan che dice: «Pensare globalmente, agire localmente». Essi, insomma, pensano localmente e agiscono globalmente. Il caso della “Vara” che concordemente hanno deciso di esporre in un angolo dell’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma è emblematico.
La “Vara” è il ben noto gruppo sacro dell’Ultima Cena, opera di Vincenzo e Francesco Biangardi, plastica e popolare rilettura scultorea del superbo Cenacolo Vinciano. Essa appartiene al ceto dei Panettieri nisseni. Le opere dei Biangardi hanno comunque origine dalla tradizione napoletana dei presepi della seconda metà del 1800 ed è tipica dei modellatori delle statuine presepiali del 1700, realizzate con materiali vari.
Tranne casi particolari, noi di Italia Nostra – ma insieme a noi prestigiosissimi studiosi come Cesare Brandi o Salvatore Settis – siamo contrari all’esportazione di beni storico-culturali e artistici mobili. Il prof. Settis parla di “catena e collezione”, di “continuità e contiguità” dei beni culturali. Egli afferma: «La forza del “modello Italia” è tutta nella presenza diffusa, capillare e viva di un patrimonio solo in piccola parte conservato nei musei, e che incontriamo invece, anche senza volerlo e anche senza pensarci, nelle strade delle nostre città, nei palazzi in cui hanno sede abitazioni, scuole e uffici, nelle chiese aperte al culto. Modello che fa tutt’uno con la nostra lingua, la nostra musica e letteratura, la nostra cultura. Perdere questa identità sarebbe rinunciare a una parte importante, anzi costitutiva, di noi stessi, di quello che gli italiani sono, per esserlo diventati nel corso dei secoli. Il nostro patrimonio culturale non è un’entità estranea, calata da fuori, ma qualcosa che abbiamo creato nel tempo e con cui abbiamo convissuto per generazioni e generazioni, per secoli e secoli. Non un gruzzolo nel salvadanaio, da spendere se occorre, ma la nostra memoria, la nostra anima. Ed è proprio questo tessuto connettivo che rende il patrimonio italiano nel suo complesso inestimabile anche sul fronte dell’immagine e della valorizzazione del Paese. Il nostro bene culturale più prezioso è il contesto, il “continuum” fra i monumenti, le città, i cittadini; e del contesto fanno parte integrante non solo musei e monumenti, ma anche la cultura della conservazione che li ha fatti arrivare fino a noi».
Ma ritorniamo alla “Vara”, ovvero all’Ultima Cena dei Biangardi. Essa fa parte di un organico insieme di elementi scultorei (sedici gruppi sacri che rappresentano scene della Passione di Cristo) ed è espressione di un contesto umano e sociale che mantiene viva un’antica tradizione. Da sola, isolata, essa rappresenta, esprime molto meno di quanto possa esprimere, rappresentare insieme agli altri gruppi sacri. Inoltre, essendo un bene preminentemente etnoantropologico, la sua piena valorizzazione avviene all’interno del contesto sociale, culturale e religioso della Settimana Santa Nissena. Pertanto, risulta persino fuorviante la sua decontestualizzata esposizione.
Cos’altro aggiungere, se non evidenziare che dalle parole del prof. Settis si evince l’idea di “museo diffuso” o “ecomuseo” che, auspicabilmente, dovremmo iniziare a prendere in seria considerazione anche dalle nostre parti, se vogliamo realizzare un progetto autentico di turismo integrato. Così come, egregiamente, efficacemente, hanno saputo fare a Sciacca (https://www.sciacca5sensi.it/). Insomma, basta puntare su effimere operazioni di propaganda.
Prof. Leandro Janni, Presidente regionale di Italia Nostra Sicilia