La drammatica alluvione ancora in corso e di cui in queste ore si sta facendo la triste conta delle vittime e dei danni, impone, oltre alla necessità del sostegno morale ed economico alle popolazioni colpite, una seria riflessione sul modello di sviluppo che la nostra società continua a perseguire ciecamente. I dati ISPRA ogni anno denunciano un consumo di suolo insostenibile, con l’impermeabilizzazione della metà dei suoli in alcune aree il cui assetto idrogeologico è estremamente fragile, con intere periferie e gran parte delle infrastrutture produttive e di mobilità esposte a frane o alluvioni.
Le modificazioni del territorio – strade, costruito, impermeabilizzazione dei suoli, abbattimento degli alberi, variazioni o modificazioni degli alvei fluviali – possono pregiudicare la sicurezza dei nostri territori che sono “organismi” complessi. Fasce di mitigazione e rispetto in presenza di fiumi, seppur stagionali, non possono e non devono essere ignorate. Gli alvei, gli argini e le pianure alluvionali sono caratteri da valutare attentamente e con “rispetto” per ottenere effetti di mitigazione utili proprio in caso di eventi come quelli che stiamo vivendo.
Eppure, mancano le strutture e gli operatori per controllare la tenuta dei territori e di fiumi perché il nostro modello di sviluppo punta sulla cementificazione piuttosto che la manutenzione. Anche il PNRR, acronimo che contiene la parola “resilienza”, contribuisce, con lo spolvero di alcuni progetti infrastrutturali superati, a coprire il nostro Paese di opere che non fanno che aggravare la vulnerabilità degli insediamenti agli eventi catastrofici.
Lavoro e sviluppo sembrano ormai indissolubilmente legati al cemento e al catrame, manutenzione e cura dei territori costituiscono un’eccezione, ma uno stipendio guadagnato controllando un argine contribuirebbe in maniera fondamentale alla ricchezza degli Italiani. Insomma, sviluppo e cura non sono affatto in antitesi. Pertanto, Italia Nostra chiede che finalmente si approvi la legge contro il consumo di suolo, ferma da anni in Parlamento, e si proceda in tempi brevi all’approvazione, da parte del Governo, del Piano Nazionale di Adattamento Climatico e i decreti attuativi che definiscono le misure di prevenzione territorio.
La Sicilia è una regione caratterizzata da un rilevante dissesto idrogeologico. Nell’Isola ci sono 320mila residenti e 120mila edifici costruiti in zone di pericolo per smottamenti e alluvioni. Per rischio idrogeologico, la Sicilia è tra le regioni più minacciate d’Italia. Secondo l’ultimo rapporto Ispra, sono quasi duemila i chilometri quadrati in cui potrebbero verificarsi disastri ambientali, pari al 7% della superficie dell’Isola. La stima della popolazione potenzialmente presente nelle aree a rischio vede in cima la provincia di Palermo, con poco più di 36mila persone coinvolte, seguita da Messina, Agrigento e Caltanissetta. Una fragilità del territorio che si rispecchia anche negli edifici minacciati dai disastri ambientali: circa 120 mila in tutta la regione, tra cui 20mila imprese e anche un migliaio di beni culturali. Sotto osservazione c’è poi l’erosione costiera, che minaccia in maniera sempre più allarmante decine di comuni. Sono ben 139 i chilometri dove il mare avanza a discapito di spiagge e litorali, quasi il 10% del totale: un dato che a livello nazionale colloca la Sicilia dietro solo la Calabria.