“E’ del poeta il fin la meraviglia (parlo dell’eccellente, non del goffo): chi non sa far stupire vada a la striglia” – Giovan Battista Marino, 1608.
Da sempre la festa costituisce, per il popolo siciliano, lo strumento fondamentale per poter esprimere quella carica passionale, progettuale che, il più delle volte, viene frenata, se non del tutto inibita, a causa dell’impossibilità di adeguati mezzi tecnici ed economici. A causa dei limiti atavici e inesorabili della politica. La festa è in realtà il luogo del simbolo, è il luogo perfetto: esperienza totalizzante dove le immagini funzionano magistralmente come autocoscienza del gruppo o della società. Nella festa si mescolano trasgressione ed equilibrio, figura ed informe, regola e spontaneità, cultura e spirito popolare. La festa rappresenta il momento in cui tutte le arti si unificano. Citando Nietzsche si potrebbe aggiungere: “L’abilità non sta tanto nell’organizzare una festa, ma piuttosto nel trovare coloro che si rallegrino in essa”. L’occasione festiva costituisce un’occasione d’incontro, di scoperta e di condivisione, confermando il ruolo della comunità e dell’appartenenza. La festa, dunque, è tale solo se può essere condivisa, raccontata agli altri, preparata e ricordata insieme agli altri.
Questa condivisione è tipica della festa barocca. Il fenomeno della festa diviene perciò il vero tessuto connettivo dell’epoca barocca. La festa, in tal senso, riusciva ad esprimere al meglio questo carattere, proteso tra la transitorietà dell’effimero e la sicurezza del permanente. Nello spettacolo barocco svanivano le demarcazioni tra la realtà vissuta e la favola rappresentata, e ciascuno si sentiva al contempo attore e spettatore all’interno di quel mondo di eventi speciali e di trasformazioni. La festa è il “barocco che si muove”. Dunque, non solo il barocco statico dei palazzi, delle chiese, delle piazze e delle fontane, ma anche quello dinamico, entusiasmante e povero delle feste. Festa come tempo e luogo in cui, secondo una visione tipicamente barocca, la vita ed il teatro sopprimono la loro distinzione, passando senza soluzione di continuità l’una nell’altro. La vita come rappresentazione, il teatro come compiuta immagine e perfetto simbolo della vita.
La festa “PiazzaAcolori”, che ha avuto luogo il 9 e il 10 maggio scorsi, a Caltanissetta, negli spazi storici e monumentali di Corso Vittorio Emanuele e Piazza Garibaldi, può essere considerata una festa neo-barocca. Ideatori e organizzatori della festa sono stati i magnifici Lorenzo Ciulla, Roberto Gallà e Claudia Tornatore. Insieme a loro, i tanti, generosi cittadini e artisti (pittori, scultori, fotografi, musicisti, danzatori, mimi, saltimbanchi, sputafuoco) che hanno accolto l’invito e si sono espressi per strada, in piazza. “PiazzaAcolori”, a quanto pare,è costata 540 euro, senza alcun contributo da parte dell’Amministrazione Comunale, priva di sponsor. Evento? Miracolo laico? Epifania primaverile? Trasfigurazione culturale della città? Gioiosa, imprevedibile mutazione antropologica? Oppure, scacco a quella borghesia nissena, tanto limitata e opaca, quanto parassitaria e immobile? Di certo un’azione vitale e irrefrenabile di riappropriazione, dal basso, degli spazi pubblici della città. Azione che ha saputo coinvolgere tante, tantissime persone. E renderle allegre, festose. Protagoniste.
C’è sicuramente tra i nisseni una diffusa e recuperata voglia di città. Una diffusa e recuperata voglia di centro storico. Una diffusa e recuperata voglia di senso e di bellezza. Insomma, una gran voglia di stare insieme, riappropriandosi degli spazi, dei luoghi collettivi. Gli spazi, i luoghi della perduta e ritrovata (almeno in parte) identità cittadina. Non è poco, certamente. Ma, sebbene ciò sia importante, fondamentale, non possiamo accontentarci di questo. Bisogna andare oltre. La città ha bisogno di conoscenze e competenze. La città ha bisogno di interventi strutturali efficaci, qualificati, precisi. Interventi trasparenti. La città ha bisogno di efficacia ed efficienza delle istituzioni, della burocrazia. Ha bisogno di imprenditori colti e creativi, disposti a rischiare, a spendere nella ricerca. Ha bisogno che i migliori talenti siano valorizzati, lavorino, non vadano via. La città ha bisogno di sogni, idee, progetti, ma anche di un sano e illuminato pragmatismo. La città ha bisogno di intelligenza collettiva. Lo sviluppo è un processo complesso, delicato, contraddittorio. Di certo i buoni segni dei tempi, sempre più frequenti e chiari, non possono non farci sperare, immaginare una città altra. Una città più felice e assolata e colorata. Una città capace di guardare avanti, senza paura. Senza veleni e incertezze. Una città più libera.
POSCRITTO. Forse qualcuno si chiederà come mai, riguardo a “PiazzaAColori”, non abbia detto nulla sulla provocatoria espressione da me utilizzata su facebook, proprio durante la festa: “Trionfo della festosa mediocrità. A colori. A Caltanissetta”. Quello, potrei dire, è stato il mio contributo artistico (arte contemporanea – ovviamente) alla festa di piazza, alla festa neo-barocca. Da una surreale piazza virtuale