È morta Lina Wertmuller. La grande regista che aveva 93 anni si è spenta nella notte a Roma. Era nata il 14 agosto 1928 ed aveva firmato film come Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto, Pasqualino settebellezze, Mimì metallurgico segnando la storia della commedia italiana.
«Sono andata dritta per la mia strada, scegliendo sempre di fare quello che mi piaceva», diceva di sé. E ci è riuscita, come testimonia una carriera fitta di successi. È stata la prima donna a spuntare una nomination come migliore regista ai tempi di «Pasqualino settebellezze» (1976) che ne totalizzò ben quattro; è stata la prima donna ad avere successo in tv ai tempi degli «sceneggiati» con la trionfale accoglienza del «Giornalino di Giamburrasca» (1964-65) e ha diviso con Iaia Fiastri il privilegio di avere avuto spazio nella premiata ditta Garinei&Giovannini.
A 17 anni si iscrive all’accademia teatrale di Pietro Sharoff, debutta come regista di burattini con la guida di Maria Signorelli, scrive per la radio e la televisione mettendo in mostra un estro surreale e comico che sarà la sua arma vincente, va a scuola di cinema da Fellini sui set di «La dolce vita» e «8 ½», collabora alla prima Canzonissima della Rai e quando debutta nel lungometraggio con «I basilischi» nel 1963 già vince la Vela d’oro del Festival di Locarno. L’anno dopo il sodalizio con Rita Pavone per «Il giornalino di Giamburrasca» ne fa d’un colpo una regista ricercata dai produttori. Nello stesso periodo incontra l’apprezzato scenografo teatrale Enrico Job con cui si sposerà , dividerà tutta la carriera artistica e adotterà la figlia Maria Zulima.
Il suo primo, grande successo nel 1972, «Mimì metallurgico ferito nell’onore», in cui per la prima volta fa coppia artistica con il suo protagonista per eccellenza, Giancarlo Giannini. Il film ha un travolgente successo in sala e si guadagna l’invito al festival di Cannes. La sua mania per i titoli di lunghezza fluviale diventa in fretta un marchio di fabbrica, così come i vistosi occhiali bianchi, la battuta sferzante, la simpatia contagiosa. «Film d’amore e d’anarchia», «Tutto a posto e niente in ordine», «Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto», «Pasqualino settebellezze» segnano in modo assolutamente personale il cinema italiano degli anni Settanta e ogni volta mettono d’accordo critica e pubblico.
Arriva un’accentuazione dei temi storici e politici che percorrono gli anni Ottanta (da «La fine del mondo» a «Fatto di sangue tra due uomini» fino a «Notte d’estate»). Dall’inizio degli anni Novanta conosce un nuovo successo, scommettendo su attori che plasma e trasforma secondo il suo gusto personale. Ecco allora il sodalizio con Sophia Loren per portare in tv un riuscito adattamento di «Sabato, domenica e lunedì» da Eduardo e quello con Paolo Villaggio per «Io speriamo che me la cavo» dal romanzo-verità di Marcello D’Orta.
Ritorna due volte a fare coppia fissa con l’amica Loren, tenta l’affresco storico con «Ferdinando e Carolina», rivisita i suoi personaggi tipici aggiornandoli con volti nuovi come Veronica Pivetti o Claudia Gerini. È sempre più attratta dalla cultura partenopea tanto da meritarsi la cittadinanza onoraria di Napoli e da debuttare al Teatro San Carlo con una felice regia della «Carmen» di Bizet. Si diverte anche in veste di doppiatrice per «Mulan» o come esponente dei «poteri forti» in «Benvenuto Presidente» di Riccardo Milani.
Du anni fa, a coronamento della carriera, pose la sua stella sulla Walk of Fame di Hollywood. (gds.it)